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“L'ALBERGO DEL LIBERO SCAMBIO”

Commedia brillante in tre atti da l'Hotel du libre-Echange di FEYDEAU
dalla traduzione in napoletano di Eduardo Scarpetta

E’ risaputo che l’impianto drammaturgico, tessuto su cui si intreccia il variopinto ricamo dell’azione scenica, altro non è che l’immagine speculare, più o meno distorta, delle umane vicissitudini. “Orgoglio”, “tentazione” e “tradimenti”, albergheranno anche stavolta in questa divertente commedia francese, affascinante teatro degli equivoci: “L’albergo del libero scambio” di Georges Feydeau. E’ del 1892 questa brillante commedia da cui prende spunto Eduardo Scarpetta riproponendo, nel 1896, “L’albergo del silenzio”. Spettacolo frizzante basato sul classico triangolo adulterino, strutturato in tre atti ricchi di comicità e di equivoci, sostenuti da un ritmo incalzante e di grande intensità in cui lo spettatore viene trascinato in un vortice di risate senza fine. E così come il grande Scarpetta porta all’esasperazione alcune situazioni quasi paradossali alla maniera dello scrittore francese, anche l’Associazione Saro Costantino, con un umile e semplice tentativo, cerca di non perdere di vista un attento e sottile studio dei caratteri dei personaggi che si muovono in un ambiente di Belle Époque, esaltando gli esilaranti ingranaggi di un meccanismo drammaturgico fondato sul vorticoso alternarsi di entrate e uscite, apparizioni, sparizioni e scambi di persona, che si avvicendano in un viavai di sorprese continue. E così, a ritmi incalzanti, si susseguono e si intrecciano le vicende di due coppie: da un lato, una giovane moglie insoddisfatta del freddo e ambizioso marito architetto, dall’altro, un marito vittima della brutta e acida moglie. Rosina, nel testo di Scarpetta, moglie di Felice Sciosciammocca, (più giovane di lei di una ventina d’anni), è gelosissima del marito e lo controlla e sorveglia scrupolosamente, temendo la sua possibile infedeltà... Ma la tentazione di amare una bella donna fanno schiavo il povero Felice che non si fa scappare l’occasione per tradire la moglie e quell’occasione gli viene proprio offerta dal vicino di casa e “amico” Michele Galletti, un architetto troppo preso dal lavoro e poco interessato alle attenzioni e alle esigenze della giovane moglie Concetta. Felice e Concetta, accomunati dalle delusioni della vita familiare, si ritrovano sull'orlo dell'adulterio decidendo di consumarlo in una stanzetta di un equivoco albergo. Ma, ahimè, quest’albergo sembra infestato da fantasmi. E così quando l’architetto Galletti viene incaricato di periziare lo stabile per zittire tali dicerie, la gran confusione che ne segue è paradossale. Grida, paure, guardie, commissari di polizia, donne e uomini che proclamano con orgoglio di essere “onesti”, un crescendo ai limiti della tensione, fino al pericolo di un disastro totale che si sfiorerà nel terzo atto. Tra colpi di scena ed equivoci, caso, fortuna, furbizia si intrecceranno in una sorta di "miracolo" che risolverà la faccenda con l’aiuto di un temporale che con i suoi tuoni diventa il complice indiscusso dell’azzardata avventura. La commedia si ripropone con la stessa difficoltà di sempre: “fare teatro” nel rispetto dell’Autore, dell’Idea, con la coscienza di dover tenere e mantenere, inalterata ogni eredità rimasta. Ed è per questo motivo che modifiche o sottolineature, da me fatte, cui è stato dato l’arduo compito della regia, altro non hanno avuto che un unico obiettivo: rendere più leggibile la rappresentazione lasciando inalterata la personalità delle maschere, la psicologia dei personaggi, per farli rivivere così come sono stati consegnati in questa commedia dai grandi maestri Feydeau e Scarpetta. “L’albergo del libero scambio” è una commedia di quelle che riconciliano l’anima degli spettatori con il teatro brillante, ma quello vero, quello cioè in cui la spontaneità si fonde con la comicità in un’osmosi che rende le vicende altamente accattivanti, ed in cui l’incalzante ritmo interpretativo non concede soluzioni di continuità a pause di riflessione che pregiudicherebbero la stabilità di una costruzione comica che proprio sull’incessante andirivieni dei personaggi e sulla novità appostata dietro le quinte e pronta ad illuminare le scene appena spentasi la precedente, trova i suoi motivi di maggiore solidità. In quest’ottica l’interpretazione di noi “piccoli attori” è un omaggio alla spontaneità, che diventa arte sapiente anche nell’inconsapevole gestione di quelle pause necessarie ad arricchire di nuova ed inattesa comicità la caratterialità dei personaggi. Una commedia quindi divertente che affida tutto il suo successo alla professionalità ed all’onestà dell’attore: erede culturale, e a quel simpatico e affezionato pubblico che vuole sanamente divertirsi in un teatro fatto, oltre che di professionalità, anche di semplicità ed umiltà. Sperando di esserci riuscito, ringrazio la mia Associazione tutta, attori e tecnici, costumisti e scenografi, e mentre si chiude, lento, il sipario e attendo il più autorevole dei consensi, sussurro: “Plaudite, cives”.

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